testimonianze dal kosovo

Titolo: testimonianza

Questa estate ho deciso di vivere un’esperienza per me particolare e significativa…
Già da tempo, grazie a qualche incontro fortuito, ho avuto la possibilità di avvicinarmi a qualche persona proveniente dal Kosovo e così ho pensato di andare a vedere i luoghi e tentare di capire la storia di queste persone.
Ho chiesto, e sono venuta a conoscenza tramite il passaparola di un’associazione di Imperia, Sprofondo Imperia (sito internet www.sprofondoimperia.it), che organizza ogni anno campi di animazione di quindici giorni in due scuole in Kosovo, una di etnia albanese e l’altra in un’enclave serba.
Il 30 di luglio così sono partita da Milano insieme alle altre tre persone che con me avrebbero vissuto quest’esperienza. Due giorni di viaggio in treno attraversando tutti i Balcani e finalmente lunedì sera sono giunta a Runik, un paese come tanti a sud di Mitrovica. Cosa mi colpisce subito: la lunga e unica strada asfaltata che taglia in due il paese, la polvere delle altre strade, le case non intonacate e la mancanza di elettricità per ore, come tutti i giorni. Presto finisce il giorno e così tutti e quattro ci troviamo a lume di candela a parlare con il signor Bahri, il direttore della scuola.
E questo è l’inizio.
Fondamentale e affascinante in questo viaggio è stato l’essere ospitata in famiglia così mi sono avvicinata di più alla realtà di questo villaggio di etnia albanese e di religione musulmana. La mia famiglia era composta da otto persone, papà, mamma, nonno e cinque figli, alla quale spesso si uniscono cugini e zii che vengono in visita da lontano e si stabiliscono qualche giorno. La casa non è molto grande, ma ha vicino la stalla dove ci sono due mucche, c’è l’orto, ci sono le galline. Ogni famiglia mangia gli animali che alleva, ciò che coltiva nell’orto o i frutti degli alberi, ci sono però dei piccoli negozi che hanno ormai tutti i prodotti commerciali.
In famiglia coi figli più grandi si parlava in inglese, uno di loro studia a Milano. Con il loro aiuto durante l’animazione alla scuola abbiamo potuto far meglio in quanto traducevano ai bambini i giochi o le attività. L’animazione alla scuola è stata tanto bella quanto faticosa. Purtroppo noi volontari eravamo in quattro e i bambini ogni giorno si moltiplicavano sempre più fino ad essere anche sessanta. Essa consisteva in giochi, molti dei quali si fanno in oratorio, canzoni bans, laboratorio. Purtroppo nella società kosovara non esiste nulla al di fuori della scuola per i bambini, i ragazzi ed anche gli adolescenti, così questa animazione è per loro un sollievo nel vuoto delle loro estati. E’ intenzione dell’associazione costruire un centro culturale, un luogo dove i ragazzi e i giovani possano incontrarsi, possano formarsi e portare avanti tutte le attività di animazione e sostegno anche verso i più piccoli.
Questa per me e per i miei amici non è stata solo una vacanza impegno ma ci sono state tante occasioni per girare, incontrare la gente, vedere la bellezza della natura, visitare luoghi significativi della guerra. Abbiamo incontrato nel vicino paese, comune di Runik un’associazione nella quale si tenta di curare il disagio psichico e i traumi provocati dalla guerra; abbiamo visitato la casa di Adem Jashari, leader dell’UCK, esercito autonomo di liberazione albanese, assediata dai serbi, ora museo a cielo aperto e conosciuto una ragazza adolescente unica superstite di quel massacro, la fossa comune, i terreni segnalati per il ritrovamento di mine anti-uomo, le tombe sparse dei tanti aderenti all’uck. In quei giorni ci sono stati tanti matrimoni con la musica e i tamburi, festeggiamenti lungo tutta la strada fino a casa degli sposi, io e le altre ragazze siamo state alla festa delle donne, il secondo giorno di nozze, dove ci si può lanciare nelle danze senza timore.
Il Kosovo oggi è un protettorato Onu, ovunque, sia nelle città più importanti quali Pristina, la capitale, o Mitrovica la città tagliata in due, metà serbi metà albanesi, o come in ogni piccolo villaggio girano militari nei loro grandi mezzi bianchi, Onu, o nei mezzi blindati Kfor, controllano, mettono posti di blocco. Non sono così bene visti dalla popolazione locale.
Una delle ragioni della loro presenza è che la maggioranza della gente è di etnia albanese, mentre in enclavi, territori perimetrati e sorvegliati dai militari, vivono, segregati invece i serbi. C’è tensione tra le due etnie.
Cosa mi ha insegnato questa esperienza… che la vita è così bella che vale la pena di viverla a qualsiasi costo, anche dopo una guerra che ha lasciato disturbi, traumi che riemergono, come quando al ritorno da una partita a pallavolo nel campo improvvisato vicino a casa, si sentono degli spari dei festeggiamenti del matrimonio e un ragazzo si butta a terra mentre la sorella si protegge la testa con le mani, quando a scuola si costruisce l’aeroplanino di carta e i ragazzi fanno il verso del bombardamento, o quando un ragazzino ti racconta di esser stato profugo e di aver fatto settanta chilometri a piedi.
La guerra nei Balcani per me è stato un fatto mediatico perché la racconta la Tv, ma quando ci si addentra in quell’esperienza si scopre che ci sono le persone, la sofferenza, i fatti vanno oltre le immagini. La gente comunque è cordiale, è ospitale e non manca l’occasione di salutare, di fermarsi a parlare di offrirti il caffè turco.

Autore: Alessandra

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